Vedere il nostro volto. Riflessioni su identità, arte e lingua
DOI:
https://doi.org/10.6092/issn.2038-6184/2250Abstract
Il volto, la voce, lo spazio che il nostro corpo occupa sono opachi a noi medesimi come lo è il tempo della nostra nascita. Dalla psicoanalisi alla fenomenologia, da Freud a Merleau-Ponty, passando per Simmel, Ortega y Gasset e la Zambrano, apprendiamo che la percezione di sé - il vedersi - è esperienza che, tra esposizione e difesa dell’intimità, tra fuori e dentro l’io, transita lungo i percorsi degli stili della rappresentazione verbale e visiva (poetica e pittorica). Ma la parola, dal canto suo, ha il potere di mostrarsi come figura, imago, in virtù della sua natura metaforica (la metafora è il volto della lingua): essa prende forma e senso per effetto di una oscillazione tra spinta alla sottrazione, alla distanza (il linguaggio non può mai dire direttamente) e volontà di adesione, di appartenenza, tra l’essere visibile e il farsi volto materno del linguaggio.Downloads
Come citare
Petrelli, M. (2010). Vedere il nostro volto. Riflessioni su identità, arte e lingua. PsicoArt – Rivista Di Arte E Psicologia, 1(1). https://doi.org/10.6092/issn.2038-6184/2250
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