Arte e psicoanalisi: il respiro della creatività, curato da Graziano De Giorgio, è il libro che sarà presentato in apertura del Convegno di Lavarone “Le frontiere della psicoanalisi. La psicoanalisi oggi: tradizione ed evoluzioni”, che si terrà alla fine di giugno 2018.
A discuterne con il pubblico saranno il curatore Graziano De Giorgio e la co-autrice Cecilia Àlvarez, entrambi psicoanalisti della Società Psicoanalitica Italiana. Una scelta particolarmente appropriata, poiché da sempre il Centro Studi Gradiva, che promuove il Convegno, ha voluto favorire il dialogo tra psicoanalisi e altri campi culturali e artistici, proprio come questo volume corale.
De Giorgio ha raccolto contributi diversi tra loro per contenuti, stili e anche lunghezza, legandoli attraverso il filo conduttore del rapporto tra arte e psicoanalisi, sviluppato attraverso l’esplorazione di opere creative in ambito musicale, letterario, pittorico, fotografico, cinematografico e architettonico. Gli autori, psicoanalisti e artisti, ne affrontano con competenza e passione i vari aspetti, con il pregio di usare un linguaggio chiaro e comprensibile anche ai non addetti ai lavori.
Al lettore questo libro offre la preziosa occasione di farsi un’idea di quella che è la trama dell’odierno dibattito in corso e, contemporaneamente, di approfondire la conoscenza delle tematiche di proprio maggiore interesse.
Il titolo racchiude in sé le due aree di sviluppo principali della complessa relazione tra arte e psicoanalisi, fondamenta dei vari capitoli.
Iniziando con i rapporti che l’arte intrattiene con la psicoanalisi, ricordiamo che la prima spinta propulsiva all’arte come strumento per avvicinarci alla lingua segreta della psiche la dà lo stesso Freud con la sua esortazione “rivolgiti ai poeti”. Infatti, egli scrive: “I poeti sono alleati preziosi, e la loro testimonianza deve esser presa in attenta considerazione, giacché essi sanno in genere una quantità di cose fra cielo e terra che il nostro sapere accademico neppure sospetta. Particolarmente nelle scienze dello spirito essi hanno di gran lunga sorpassato noi comuni mortali, giacché attingono a fonti che non sono ancora state aperte alla scienza”.1
L’avvicinamento tra l’opera d’arte e la psicoanalisi, che dopo Freud molti autori hanno affrontato, può avvenire in due direzioni.
La prima via va “dalla psicoanalisi alle arti”. Questo approccio, detto “patografico”, caratteristico della cosiddetta “psicoanalisi applicata”, tende a “interpretare” la produzione artistica secondo i concetti della teoria psicoanalitica o ad individuare relazioni tra psicopatologia e l’opera o la personalità dell’artista. Esso è tendenzialmente superato, perché rischia di scivolare in ipotesi invischianti e riduttive, soffocando le caratteristiche di libertà e le potenzialità generativo-creative dell’opera artistica.
La via che procede in direzione opposta, “dalle arti alla psicoanalisi”, è quella che si è evoluta nella psicoanalisi contemporanea, percorsa con la necessità di comprendere come il processo artistico possa arricchire la teoria e la clinica psicoanalitica, permettendole di avvicinarsi a quegli stati mentali primari che spesso le parole sono insufficienti a definire.
Nel tempo si sono andati creando tra le varie forme d’arte e la psicoanalisi spazi di pensiero specifici, territori comuni fecondi che, senza intrusioni o confusioni, si fertilizzano e rivitalizzano reciprocamente.
Il fruitore dell’opera d’arte dà vita, con l’opera stessa, a un dialogo bidirezionale, a un processo che, attraverso narrazioni, metafore, immagini, suoni e risonanze, va ad ampliare gli orizzonti della conoscenza, della comprensione e avvia processi elaborativi, poiché l’opera tocca direttamente le corde dell’inconscio.
È su questa idea che gioca la seconda parte del titolo, il respiro della creatività, che rimanda alla vitalità dell’essere umano: come ricorda Stefano Pozzoli nel suo contributo, il verbo “creare” origina dal latino “creo” e “procreo”, cioè “portare ad esistere”, e ha la stessa radice del verbo “crescere”.
Le teorie sulla creatività sono moltissime, sviluppate sia dagli artisti stessi sia dagli psicoanalisti, questi ultimi sempre grazie allo spirito pionieristico di Freud.
Con lui la creatività, fino a quel momento considerata facoltà di pochi, è divenuta una capacità che potenzialmente ogni individuo possiede. Nel gioco si esprime la creatività del bambino – Freud ne parla ne Il poeta e la fantasia – dove il bambino si comporta come un poeta e “dà un nuovo assetto alle cose del mondo”.2 Abbandonati i giochi per gli oggetti reali, l’adolescente e poi l’adulto usano la fantasia che, secondo il padre della psicoanalisi, è generata da uno stato di insoddisfazione rispetto all’appagamento dei desideri. Tra gli autori successivi cito qui solo Winnicott,3 che ha ulteriormente valorizzato la creatività come bisogno ed esperienza universale, che gli artisti sviluppano in modo specifico poiché possiedono del talento. Egli colloca la creatività alle origini della vita e nel rapporto primigenio tra madre e bambino, e la collega all’illusione onnipotente del bambino di creare il mondo. Se tale rapporto è stato “sufficientemente buono” il bambino inizia a separarsi, a riconoscere l’altro da sè, l’ambiente e gli oggetti che lo circondano, tollerando la frustrazione e permettendo la creazione di quello spazio “transizionale” che è per il bambino il luogo del gioco e per l’adulto diventa quello in cui si generano e si sviluppano le esperienze culturali e artistiche.
In questa prospettiva la creatività è il modo in cui ognuno di noi si rapporta con la realtà, così da sentirsi se stesso e avere la sensazione di essere vivo e reale.
In quasi tutti gli scritti sono riportati stralci di materiale clinico per testimoniare e avvalorare il ruolo che l’arte e la creatività, nelle loro diverse forme, rivestono, in quanto possono arricchire non solo la teoria psicoanalitica, ma anche il lavoro della coppia analitica in seduta.
La presentazione di Graziano De Giorgio, sintetizzata di seguito, offre una preziosa panoramica dei contenuti dei vari capitoli, fornendo una “mappa” di lettura.4
Il libro si apre con il saggio di Stefano Bolognini, La mentalità artistica, che esplora, partendo da un caso clinico, alcune fondamentali componenti della creatività, per poi esemplificarle attraverso il loro utilizzo da parte di personaggi del mondo dell’arte – da Bach a Magritte, da Serra a Cattelan, fino a Lady Gaga – che hanno in comune la capacità di indurre profonde risonanze emotive nel fruitore, che non potrà esserne indifferente.
Nel lavoro Profili e veli Domenico Chianese, servendosi di alcune scene oniriche, ci conduce in un viaggio alla scoperta della figura del “profilo” dal punto di vista artistico e psicoanalitico. Attraverso un suggestivo excursus nel mondo della pittura e dei miti, ipotizza lo “stadio del profilo”, di importanza equiparabile allo “stadio dello specchio” che lo precede, come tappa basilare per arrivare a “ritessere” il proprio destino e a promuovere la creazione di sé. In seguito, propone l’espressione di forme sceniche ed estetiche di rappresentazione e drammatizzazione delle forme del pathos nella contrapposizione tra vita e morte.
Giuseppe Civitarese con il suo Il bello terribile. Sul sublime e il conflitto estetico indaga i nessi che legano il concetto estetico di sublime a quello psicoanalitico di conflitto estetico, che possono illuminare una concezione dell’analisi come esperienza estetica. Far emergere alla superficie l’essenza di qualsiasi esperienza estetica consentirebbe l’accettazione della natura effimera di tutte le cose.
Ne Il crollo. Scott Fitzgerald, Schnitzler e Kubrick, Giorgio Callea si avventura nell’analisi della novella Doppio sogno intrecciandola a quella di Eyes Wide Shut, la trasposizione cinematografica di Stanley Kubrik. Il sogno è visto come un processo in cui il soggetto, nell’analisi come nella vita, rappresenta il suo divenire nel mondo, rielabora il passato e si immagina nel futuro. Fitzgerald viene assunto come esempio della possibilità che tale processo possa portare sino al crollo schizofrenico.
Simona Argentieri con Gli inganni dell’Io narrante in psicoanalisi e letteratura esplora i rapporti tra autore e io narrante, fatti di confessioni camuffate e disvelamenti, finzione e verità, facendo emergere un interessante parallelo tra opera letteraria e narrazione psicoanalitica attraverso l’apporto di casi clinici. Introducendo la dimensione inconscia, la psicoanalisi demolisce le ipotesi scontate: non è detto che l’autoritratto coincida con l’immagine interiore dell’artista né che in un romanzo l’io narrante o il protagonista custodiscano gli aspetti più interessanti dell’autore, che possono essere scissi, proiettati, frammentati in tanti personaggi minori.
Valeria Egidi Morpurgo, in Eroi e antieroi. Quali figure per il nostro tempo?, evidenzia come lo studio delle varianti della figura dell’eroe costituisca un prezioso ausilio per illustrare la tematica freudiana dell’Io e delle istanze ad esso connesse. Lo studio dei miti e delle opere d’arte contribuisce all’indagine teorico-clinica sulle nevrosi e la chiave di lettura psicoanalitica espande la comprensione della figura dell’eroe, elaborata in varie forme artistiche.
Il saggio di Schinaia, Le stanze dell’analisi. Movimenti e trasformazioni tra spazio mentale e spazio architettonico, entra nel merito della realizzazione architettonica dello spazio analitico, mettendo in luce l’evoluzione della strutturazione dello specifico spazio terapeutico partendo dalla stanza di Freud per giungere a quelle degli analisti contemporanei, che negli ultimi anni sono divenute visibili grazie alla pubblicazione delle loro fotografie. Alcune vignette cliniche evidenziano quanto l’organizzazione dello spazio esterno della stanza d’analisi entri profondamente nella strutturazione del mondo interno dell’analizzando e nella relazione transferale della coppia analitica.
Marta Capuano, nel suo lavoro Narcisismo Architettonico. Architetture senza anima, esplora l’etica dell’architettura, ovvero le modalità con cui oggi si fa architettura e la si guarda. Sostiene che sono i media oggi, e non l’oggetto in sé, a rendere riconoscibile un’architettura, svuotandola della sua complessità, quando il funzionamento della dimensione psichica dovrebbe sempre essere un apparato per rappresentare, si tratti tanto di architettura che di psicoanalisi.
Il lavoro di Cecilia Àlvarez, esempio di psicoanalisi applicata ai giorni nostri convincente per la sua coerenza, si intitola Due pittori, due modi di rappresentare il fratello morto (Van Gogh e Dalì). L’autrice cerca di scrutare il rapporto fra creatività e follia all’interno delle vite e dei dipinti di Vincent Van Gogh e Salvador Dalí, entrambi alla ricerca, in modo molto diverso, della propria identità.
Sullo stesso registro il contributo di Paola Golinelli, Creatività e patologia in Melancholia di Lars Von Trier, che mette in luce la “grandiosa onnipotente distruttività” del regista. Il film viene letto come la metafora di uno psichismo segnato da una mancanza primaria e il finale apocalittico come la rappresentazione dell’entità distruttiva e mortifera di una melanconia che non consente nessuna via d’uscita.
Nel lavoro Un incontro può cambiare un destino. Discorsi delle arti e discorsi della psicoanalisi intorno a un film, Elisabetta Marchiori, dopo una sintetica disamina degli attuali rapporti che il cinema intrattiene creativamente con la psicoanalisi, propone una lettura del film Una vita tranquilla (2010) di Claudio Cupellini, proiettato in chiusura del Convegno “Discorsi delle arti, discorsi della psicoanalisi” svoltosi a Iseo (BS) nel 2014. Si tratta di un noir che mette lo spettatore faccia a faccia con le vicissitudini e le metamorfosi delle pulsioni, delle difese e dei conflitti che appartengono al proprio mondo interno. Il contributo si conclude con il report della conversazione che ha avuto luogo tra l’attore Francesco Di Leva, co-protagonista del film, e il pubblico in sala dopo la proiezione.
In Fotogrammi di eternità. Attrazione verso l’infinito nel momento dell’attesa di Rita Manfredi Gervasini, i concetti di “momento di estasi” e di “vissuto oceanico” vengono rielaborati nell’esperienza della cura analitica di un paziente in fase terminale. L’autrice mostra come un Io scisso e indebolito dalla paura della morte imminente possa ritrovare la sua coesione e la volontà di ricerca artistica con la fotografia.
Il lavoro di Fausto Petrella, Improvvisazione musicale e improvvisazione psicoanalitica, attraverso l'analogia con l'improvvisazione in musica, cerca di chiarire il tema complesso dell'intervento analitico, grazie a ricche esemplificazioni musicali e a esempi clinici. Così come in musica, anche nella psicoterapia psicoanalitica “il momento inventivo e creativo consiste nel modo più o meno fantasioso e ardito con cui le regole del gioco sono gestite”, un momento sorgivo improvviso in cui gli esecutori sono paziente e analista.
La voce nell’arte e nell’interpretazione psicoanalitica è il contributo di Graziano De Giorgio, di cui parla estesamente Philippe Daverio nella Prefazione, sullo sfondo di una panoramica delle mutazioni che tra il XIX e il XX secolo determinarono una svolta nella visione e nell’interpretazione delle opere d’arte e dei linguaggi della comunicazione. L’autore, ritenendo l’arte e la psicoanalisi vertici privilegiati per incontrare il reale, con l’ausilio di un caso clinico esposto estesamente, si sofferma “non solo sulle sonorità che si fanno musica, ma anche su quei suoni che acquistano, a volte, grande importanza all’interno di una seduta analitica, spesso terra di frontiera del pensiero nascente”.
Il testo di Stefano Pozzoli, Musica e psicoanalisi: note sul luogo delle origini, declina le stesse tematiche trattate da De Giorgio ed entra nel vivo della dimensione sonora nella seduta di analisi attraverso del materiale clinico, evidenziando come il passaggio da una dimensione decodificativa/interpretativa ad una configurativa/affettiva sia un potente generatore di nuove funzioni psichiche.
Passando dalla tastiera del pianoforte al tavolo di scrittura, Hugo Aisemberg ci porta con il suo contributo da musicista, La nostalgia del tango, in atmosfere lontane geograficamente ma vicine a tutti noi, coniugando la nascita del tango con il sentimento della nostalgia.
È evidente che questi scritti ingaggiano con il lettore quella che Thomas Ogden (2001), citato da Giuseppe Civitarese, chiama felicemente “conversazione”, una relazione creativa che produce associazioni inaspettate e apre il pensiero: questo libro è, in quest’ottica, una piccola, ma preziosa, produzione artistica.
Bibliografia
Freud S. (1906). Il delirio e i sogni nella Gradiva di Wilhelm Jensen. In Opere, vol. 5. Torino: Boringhieri, 1972.
Id. (1907). Il poeta e la fantasia. In Opere, vol. 5. Torino: Boringhieri, 1972.
Ogden Th. (2001). Conversation at the frontier of dreaming. London-New York: Karnac.
Winnicott D.W. (1974). Gioco e realtà. Roma: Armando.