Médecin, il serait resté un grand disciple d’Hippocrate; artiste, un grand disciple d’Apollon; se singularisant, il fut mieux encore, un éminent artiste-savant et un remarquable savant-artiste.1
L’Artiste-savant
1. Per una diagnosi tra scienza e arte
Il 1 luglio del 1903, Paul Richer, membro della rinomata École de la Salpêtrière guidata dal neurologo Jean-Martin Charcot, viene nominato professore di anatomia presso l’École National Supérieure des Beaux-Arts di Parigi.
All’età di cinquantaquattro anni Richer poteva vantare una brillante carriera medica, iniziata nel 1871 sotto l’egida del maestro che, dopo la discussione della tesi di dottorato,2 gli aveva conferito il titolo di “chef du laboratoire” presso la nascente cattedra in Clinique des maladies du système nerveux. Le ricerche scientifiche condotte accanto a Charcot per oltre diciassette anni, concentratesi inizialmente sulle differenze tra crisi isterica ed epilettica, gli avevano concesso di sviluppare anche le sue spiccate doti artistiche. Considerato dai colleghi come un “dessinateur de grand talent” e uno “sculpteur éminent” (il daltonismo gli impedirà di darsi alla pittura) aveva operato come illustratore delle patologie nervose e indagato nel dettaglio le quattro fasi del grande attaque hystérique “prenant par centaines des croquis de malades, dessinant des planches d’enseignement”.3 Divenuto direttore dell’atelier de moulages – spazio interno all’ospedale adibito alla ricerca diagnostica attraverso l’uso di pratiche artistiche4 – aveva avuto modo di sperimentare diverse tecniche: disegno, calco in gesso, cera e bronzo, incisione, fotografia e cronofotografia.
Le pubblicazioni mediche di Richer si distinguono infatti da quelle dei colleghi proprio per l’intrinseco legame tra testo e immagine,5 dove le illustrazioni si presentano come un’estensione indispensabile alla parola, chiarendo discorsi e teorie ancora in via di sviluppo, che necessitavano di una solida narrazione iconografica. L’importanza dell’immagine si evince sin dalla sua tesi di dottorato, corredata da trentatré figure e sei acqueforti, e dal suo ampliamento, pubblicato due anni dopo, dal titolo Études cliniques sur l’Hystéro-épilepsie ou Grande hystérie,6 il cui apparato illustrativo si compone di ben centocinque figure e nove acqueforti.7 I disegni di questo volume, alcuni presi dal vivo, altri verosimilmente dai clichés del medico responsabile dell’atelier di fotografia, Paul Regnard, rappresentano i prodromi del “grande attacco isterico” e i suoi “quattro periodi” individuati da Charcot: épileptoïde, clownisme, attitudes passionnelles, délire.
Il testo si apre con una significativa dedica al maestro, a cui Richer riconosce in parte il merito del valore della sua opera. Charcot risponde con un lettre-préface, datata 31 dicembre 1880:
Mon cher Richer,
Vous avez mis votre talent d’artiste, ainsi que vos qualités d’observateur consciencieux et sagace, au service d’une bonne cause: vous avez voulu contribuer à établir, une fois de plus, que la névrose hystérique n’est pas, comme beaucoup l’affirment encore, même parmi nous, en France, contrairement aux enseignements de Briquet, “un Protée qui se présente sous mille formes et qu’on ne peut saisir sous aucune”; une maladie hétéroclite, composée de phénomènes bizarres, incohérents, toujours changeants, inaccessible, par conséquent, à l’analyse et qui ne pourra jamais se soumettre aux investigations méthodiques.8
Il maestro sottolinea le doti artistiche di Richer e rimarca l’importanza di un metodo basato sull’osservazione, capace di rivelare la realtà della malattia: “dans vos études relatives à l’attaque hystérique, il vous a été permis de montrer que là, pour le moins, rien n’est livré au hasard”.9 Per Charcot la forza insita nel testo risiede dunque nella capacità del suo autore di unire sguardo e rappresentazione: Richer non soltanto vede l’isteria, ma è in grado di renderla visibile.
La propensione di Richer a svolgere a un’analisi basata sul dato visivo era frutto di una prassi peculiare dell’École de la Salpêtrière inaugurata direttamente dal maestro, i cui interessi artistici sono testimoniati, oltre che dalle narrazioni degli allievi e dei suoi primi biografi,10 da diversi album conservati presso il Musée de l’Assistance Publique-Hôpitaux de Paris (AP-HP).11 All’interno di questi, alcuni rilegati, altri in planches sparse, si presenta un’originale documentazione clinica in cui scrittura e immagine si sostengono vicendevolmente. I casi descritti e schedati nelle loro variegate patologie risultano infatti sempre indagati anche attraverso l’uso del disegno (a china, matita, acquerello o gessetti colorati) e della fotografia, che ne esplicitano più chiaramente i sintomi. La descrizione minuziosa dello stato della malattia è affiancata costantemente dall’immagine, che riveste dunque una precisa funzione gnoseologica, giocando un ruolo chiave nell’operazione diagnostica, soprattutto nel caso dell’isteria, che fino ad allora era stata considerata un fenomeno instabile e sfuggente.
Di norma i pazienti sono ritratti a mezzobusto (in rari casi a figura intera), ripresi di fronte, di profilo e di schiena; sono indagati con schizzi di dettagli esplicativi, come le ricorrenti contratture delle dita delle mani e dei piedi, o le parti del volto, in particolare gli occhi e la bocca. Nonostante numerosi documenti presentino il timbro personale di Charcot, i disegni appartengono chiaramente a mani diverse, e la maggior parte esibisce il tratto grafico pulito e lineare che contraddistingue l’opera di Richer.
2. Les œuvres d’art scientifiques
Nei suoi anni in ospedale, Richer coltivò il proprio interesse verso la storia dell’arte e l’estetica12 continuando a sperimentare attraverso l’utilizzo di diverse tecniche artistiche. Dopo la morte di Charcot avvenuta nel 1893, la sua attività si concentrò sulla scultura, con quella che il collega Henry Meige definì una “série d’études sculpturales appliquées à la pathologie humaine”.13 Oltre alla realizzazione di numerosi calchi in gesso e cera, Richer forgiò diverse statue in bronzo, tra le quali una maschera di un caso di miopatia primitiva14 ricordata nella Nouvelle Iconographie de la Salpêtrière, un busto di una malata afflitta da una paralisi labio-glosso-laringea,15 una statuetta della malattia di Parkinson16 e una su un caso d’infantilismo mixomatoso.17 Per Meige queste sculture, vere “opere d’arte scientifiche” avevano un duplice merito: permettere al medico uno studio del nudo patologico e consentire all’artista una conoscenza più approfondita delle anomalie del corpo umano: “bien mieux qu’un dessin, et même qu’une photographie, une œuvre plastique est capable de satisfaire les uns et les autres”.18
La scultura viene dunque considerata non soltanto superiore alla rappresentazione grafica, ma anche più efficace rispetto al mezzo fotografico, ritenuto negli anni immediatamente successivi alla sua nascita come sincero e imparziale. In nome di una presunta oggettività scientifica, Richer si propone così di trascendere la superficie bidimensionale, che reputa insufficiente alla rappresentazione della complessa variabilità della malattia. Nella pratica clinico-scientifica della seconda metà dell’Ottocento, dominata da quella che Daston e Galison definiscono “mechanical objectivity”, in cui perseguire il dato reale era diventata un’ossessione, l’uso della fotografia esercitato dall’École de la Salpêtrière si mostra ambiguo. Viene adoperata costantemente nella pratica diagnostica, pedagogica e divulgativa della scuola, ma all’interno di una ricerca iconografica più ampia, in cui concorrono diverse tecniche artistiche. Rispetto al contesto in cui “the scientific self […] was perceived by contemporaries as diametrically opposed to the artistic self, just as scientific images were routinely contrasted with artistic ones”,19 le pratiche visuali della Salpêtrière si mostrano dunque controcorrenti e in qualche modo provocatorie, secondo una duplice linea, insieme metodologica e teorica. La prima, da rintracciare nell’esercizio costante di un’attività clinica radicata nella registrazione visiva in cui partecipano media artistici diversi (seppur inseriti in una gerarchia basata sul grado di verità conseguibile); la seconda, nella definizione consapevole di quest’operazione come una prassi ibrida, definita insieme scientifica e artistica.
Per Richer la fotografia mancava della caratteristica necessaria e risolutrice per la riproduzione della realtà: la terza dimensione. Solo questa, infatti, attraverso la rielaborazione creativa dell’uomo, poteva avvicinare la rappresentazione alla vitalità del corpo reale. Come sottolinea Ruiz-Gómez, tale caratteristica si evince soprattutto nelle “sculture scientifiche” create del medico: “Richer’s patient portraits were meant to be read as objective, while also providing an alternative to mechanical media, such as the photograph and the cast, by permitting the doctor’s intervention in not only controlling and animating the sitter, but also emphasising the patient’s symptoms”.20
Le opere di Richer risultano infatti costrette tra la ragione della loro stessa esistenza, quella di un ideale di verità perseguito attraverso la creazione di un’opera che incarni un archetipo della malattia, e le modalità con cui esse vengono prodotte, che tradiscono un secondo registro dal quale emergono espressioni e dettagli che suggeriscono la presenza di un’interiorità, un’emozione personale, che rimanda alla storia del singolo caso clinico. La raffigurazione patologica sembra così trasgredire il suo scopo, proprio perché, nel suo proporsi come copia perfetta a servizio di una pedagogia clinica, conserva su di sé quei tratti somatici e quei particolari che trascendono il tipo per avvicinarsi all’uomo. Per Ruiz-Gómez sorge spontaneo domandarsi
to what degree are these objects “scientific” or “artistic”, “realistic” or not? In creating these pathological portraits, which was more important: the patient, the diagnosis or the artistic tradition? Artistic and medical images have been characterised as ‘metaphor and fact’, respectively, but those categories are difficult to separate in the case of Salpêtrière sculptures.21
Ciò che veniva di norma percepito come un ossimoro si svela dunque nell’opera di Richer come una prassi concreta, che problematizza le categorie correnti della storia dell’arte e della scienza, nel tentativo di catalogare e analizzare i casi clinici osservati. I medici della scuola di Charcot, in questo senso, “forged a productive and enabling space at the intersection of objectivity and subjectivity, complicating our understanding of the relationship between science and art at the end of the nineteenth century”; in particolare, l’opera di Richer può essere letta come un “testament not only to ways in which disease was visualised, classified and understood […] but also to the ways in which power, agency and ethics were reified at the Salpêtrière”.22 Non esiste dunque in questo ambiguo frangente una risposta univoca, capace di semplificare e separare: reale e ideale si sfrangiano e si sovrappongono, dimostrando che “neither art or science has ever been a stable category – both have always been culturally determined and culturally determining”.23
Le Savant-artiste
1. La ‘révolution anatomique’24
La complessa reciprocità che segna i rapporti tra arte e scienza si afferma nella carriera di Richer nella natura stessa della nuova carica che questi è chiamato a ricoprire a partire dal 1903, quando diventa docente di anatomia artistica all’École National Supérieure des Beaux-Arts di Parigi. Il 25 novembre egli inaugura l’anno accademico con un discorso emblematico, che si apre con una serie di ringraziamenti: al Conseil supérieur della scuola, al Ministre de l’Instruction publique et des Beaux-Arts e all’operato del suo predecessore, Mathias Duval. Quest’ultimo, noto fisiologo, anch’egli collaboratore di Charcot, viene ricordato per i suoi corsi basati su una ricostruzione sintetica del corpo, che muoveva dall’esame dello scheletro e dei muscoli e dalla dissezione esercitata in un apposito laboratorio su cadaveri umani e animali. Duval avviò inoltre innovativi studi sulla locomozione e sull’espressione delle emozioni attraverso l’utilizzo di sussidi diversi, come zootropi, lastre di vetro e tavole fotografiche. Le ricerche sul movimento e l’utilizzo di materiali fotografici marcano profondamente gli ultimi trent’anni dell’insegnamento all’Académie, segnando il declino dell’anatomia artistica tradizionale e inaugurando l’inizio di una nuova era, in cui tecniche e teorie scientifiche si andavano unendo in una disciplina in cui il soggetto di studio non era più “seulement la forme humaine – statique et plastique –”25 ma “l’homme tout entier, ses attitudes, ses expressions, son évolution dans le temps et dans l’espace, ses liens avec le reste du monde animal, son rapport fusionnel à l’environnement”.26
L’attività di Duval si rivela centrale per individuare le tracce di questa nuova pedagogia e per delineare il cambiamento di prospettiva che introduce all’interno dell’Académie: non è più l’artiste-savant del Rinascimento, l’interprete della verità, ma è soltanto le savant-artiste: una nuova figura che si afferma in questo secolo, un medico-esteta dotato del sapere e del metodo necessari, colui che è in grado di capire e svelare l’enigma del reale.
Il discorso di Richer del novembre 1903 si apre con un aneddoto su Ingres, che narra di come l’ex-docente della scuola, rinomatamente avverso a un possibile rapporto tra arte e scienza, dopo aver osservato alcuni allievi copiare in aula il famoso gesso dell’écorché di Houdon27 lo avesse distrutto davanti ai loro occhi. Richer afferma di condividere in parte la dura presa di posizione del pittore, secondo il quale la scienza anatomica avrebbe compromesso la “sincerità del disegno”. Come aveva ribadito anche Diderot, lo studio dell’écorché porta senz’altro dei benefici, ma nasconde anche degli svantaggi:
Trop longtemps, l’écorché a été considéré comme l’expression la plus complète de l’anatomie appliquée aux Beaux-Arts et comme le résumé des connaissances anatomiques nécessaires aux artistes. La preuve en est dans le nombre considérable des statues d’écorché, qui ont été exécutée dans un but purement pédagogique depuis la Renaissance jusqu’à nos jours. Et si l’étude de l’écorché ne saurait être radicalement proscrite de l’enseignement du dessin, du moins doit-elle descendre au rang secondaire qui lui revient et être entourée de correctifs et de commentaires indispensables.28
Per Richer lo studio anatomico deve essere corretto, in quanto presenta un grande limite: tentare di esaminare il corpo senza mostrarne la superficie. L’écorché è dunque considerabile come il prodotto artificiale di una dissezione in cui la rimozione totale del tessuto compromette la lettura della figura umana e della “configuration du nu”.29 Ambendo a un giusto insegnamento della forma, Richer prosegue analizzando un ulteriore rischio a cui si incorre nello studio dell’écorché, ritenuto
insuffisant, car la myologie superficielle ne peut suffire à qui veut pénétrer le mécanisme des mouvements; obscure, car il ne peut être compris qu’à la suite d’une étude plus complète qui portera sur les muscles profonds, aussi bien que sur les muscles superficiels, et les suivra tous jusqu’à leur insertion sur les os.30
Le statue degli scorticati sono considerate, pertanto, come portatrici di un doppio limite: non consentono uno studio della forma visibile del corpo e, allo stesso tempo, non permettono di penetrare appieno nelle sue profondità, mancando quelle connessioni tra le parti organiche che ne consentono il funzionamento vitale.31
Dopo queste riflessioni preliminari, Richer promette di mostrare una prospettiva risolutrice, ripercorrendo brevemente come in differenti epoche gli artisti siano riusciti a rappresentare il corpo umano e attraverso quali escamotage. Tratta da principio l’arte egizia, di cui commenta l’irriducibile staticità delle forme, l’unità stilistica e l’insieme di convenzioni che la contraddistingue. Quest’arte, governata da una tradizione imponente e da regole inflessibili, sopprimeva ogni desiderio d’indipendenza, annichilendo la personalità del singolo artista e le sue invenzioni, ed è proprio questa chiusura ad averne causato la fine. L’autore prosegue il suo discorso analizzando l’arte assira, di cui individua il principale difetto nell’eccessiva accentuazione di alcuni muscoli. Le statue di questa civiltà presentano le figure umane coperte da lunghe vesti, dalle quali però irrompono forme esagerate, troppo gonfie per essere verosimili; lo stesso vale per i volti, che manifestano l’assenza di qualsivoglia preoccupazione anatomica: sono soltanto uno studio delle forme di superficie, in una morfologia tanto potente e originale quanto falsa.
Richer approda infine all’arte che considera più perfetta: l’arte greca. Ne elogia una serie di capolavori scultorei e riconosce che le opere di questa civiltà, così come di quella Romana, denotano una conoscenza maggiore della scienza anatomica. Tuttavia questo è dovuto a nozioni morfologiche tratte dall’osservazione esterna del corpo umano, più precisa e vicina al dato naturale, ma pur sempre rudimentale:
La poitrine, les épaules, le bassin s’y précisent, bien qu’avec raideur. Les jambes sont fines et nerveuses. Les extrémités osseuses, les muscles y forment des reliefs distincts. En particulier, le genou commence à rompre la formule égyptienne, pour se rapprocher de la nature. Enfin, peu à peu, la figure s’anime, la forme se complète. L’Apollon Didyméen marque un progrès considérable et, avec les marbres d’Égine, la perfection n’est pas loin d’être atteinte.32
Le forme delle statue greche per Richer restano dunque lontane dalla verità anatomica e limitate ancora a un ideale. Soltanto verso la metà del XIII secolo, in Italia, l’anatomia artistica giunge ad un vero progresso, avvenuto grazie alla collaborazione sul tavolo settorio di anatomisti e artisti:
Pour ne citer que les plus connus, Antonio della Torre eut pour collaborateur Léonard de Vinci; Vidus Vidius et Béranger de Carpi partagèrent leurs travaux avec Benvenuto Cellini; Realdus Colombus travailla avec Michel-Ange; André Vesale fit dessiner les belles planches de son livre par Jean Calcar, élève du Titien.33
Ma per Richer anche quest’epoca felice presenta le sue difficoltà: quello che per pittori e scultori non doveva essere nient’altro che un mezzo scade invece in un’ossessione per il cadavere e la dissezione:
La science nouvelle se substitua bientôt à l’étude de la nature vivante. Bien mieux, encore hésitante et incertaine, elle devint une source d’erreurs et le cadavre se vengea. C’est alors que nous voyons le dessin du nu, au lieu de l’empreinte de la vie, porter le sceau de la mort. Et nous retrouvons, dans certaines figures, jusqu’au dessin des écorchés de l’époque avec leurs incorrections, avec leurs défauts.34
Richer prosegue criticando l’operato di artisti come Andrea del Castagno, il Pollaiolo, il Verrocchio e Luca Signorelli, fino a giungere al solo artista controcorrente che fu in grado di rifiutare l’imperante tendenza allo sfoggio di ammassi illogici di muscoli, tendini, ossa e vene: Leonardo da Vinci. Rispetto ai suoi precedenti e ai suoi contemporanei, Leonardo è l’unico ad aver studiato l’anatomia “à la manière d’un savant”,35 lasciando come testimonianza degli accuratissimi disegni, che non degenerano nell’ipertrofia muscolare. Così, giunge a dimostrare che scienza anatomica e arte non sono incompatibili: al contrario, se unite nella giusta misura, possono toccare l’apice della produzione umana: la capacità di autorappresentazione.
Per Richer il modo migliore per consentire un corretto uso della scienza anatomica nell’applicazione alle Belle Arti consiste innanzi tutto nello stabilire una distinzione formale “entre deux sciences qu’on a l’habitude de confondre sous le nom d’anatomie plastique: d’abord l’anatomie proprement dite, née du cadavre et de la dissection; puis l’étude des formes extérieures du corps humain, née de l’examen du nu vivant et en action”.36 Tra queste due discipline vi è una grande differenza e conoscere bene l’anatomia interna di un corpo non implica automaticamente una conoscenza delle sue forme esteriori.
Richer si propone dunque d’inaugurare un nuovo insegnamento, basato sull’apporto dato dall’analisi ‘superficiale’ del nudo, considerata come “la synthèse vivante de l’anatomie du mort”,37 e dal sostegno incrociato di altre discipline:
Si nous avons à demander le concours inévitable aujourd’hui de l’anatomie du mort, que, plus heureux que les artistes de la Renaissance, nous n’aurons point à créer, nous nous adresserons aussi à d’autres sciences. Nous consulterons par l’histoire de l’art la longue expérience des artistes. Nous demanderons à l’anthropologie la connaissance des races et la science des proportions, à l’anatomie comparée les différences qui accentuent le type humain, et surtout à la physiologie le mécanisme du mouvement. Sur ce dernier point, la science moderne nous livre, dans la méthode graphique et la photographie instantanée, des procédés d’investigation nouveaux.38
L’autore si appella a una serie di studi che conosce bene e che ha avuto modo di affrontare nell’arco della propria carriera medica, nella quale, grazie a Charcot, ha appreso l’importanza dell’osservazione del corpo vivo e l’efficacia di un metodo clinico aperto, in cui convivono molteplici pratiche e la contaminazione, la duttilità, in qualche modo l’aporia, venivano considerate un arricchimento e non un limite.
L’ambizioso progetto pedagogico viene avanzato da Richer attraverso la disposizione di un duplice corso, teorico e pratico: nel primo, focalizzato sull’analisi anatomica, gli allievi eseguiranno diversi disegni a partire dallo scheletro, dal cadavere,39 dagli écorché e dal modello vivente; nel secondo, lo studio della figura sarà affrontato sistematicamente attraverso l’uso di tavole didattiche e proiezioni. Il corpo sarà esaminato “au repos, mais aussi en mouvement”,40 nelle sue proporzioni dal punto di vista scientifico e artistico e nei tre tessuti che concorrono alla forma esteriore del corpo: ossa, muscoli e grasso. In particolare, è nell’approccio allo studio di ossa e muscoli che si scorge l’originalità del programma di Richer:
Les os et les muscles seront considérés au double point de vue de leur action sur les formes et de leur rôle dans la mécanique humaine. De plus, nous vous démontrerons, à l’aide de chronophotographies, les grandes lois qui président aux modifications du nu vivant suivant les divers états physiologiques dans lesquels se trouvent les muscles.41
Il movimento del corpo – che chiama la machine humaine – indagato attraverso il sussidio della fotografia e della cronofotografia, si pone al centro del progetto moderno di Richer, teso a dimostrare come arte e scienza non siano altro che “deux faces d’un même problème”42 e la “manifestation différente d’un même principe, le vrai”.43
2. Morfologia: tra forma e culto del corpo
Durante i suoi vent’anni d’insegnamento Richer persegue parte degli intenti illustrati nella Leçon d’ouverture, dedicandosi con particolare attenzione allo studio morfologico. Nel tentativo di definire e arginare le variabili di quest’ultimo, il docente propone un canone di proporzioni in grado di sostituire “à l’idée esthétique du beau la notion scientifique du parfait”,44 sviluppando una propria teoria regolatrice del corpo in salute e della forma perfetta alla quale esso può aspirare. Questa normativa viene sintetizzata da Richer in un breve testo pubblicato l’anno precedente al suo insediamento alle Beaux-Arts, Introduction à l’étude de la figure humaine,45 primo di una serie incentrata su una duplice analisi della forma dal punto di vista scientifico e artistico.46 Nel volume introduttivo il medico propone la propria ricerca del vero attraverso un’analisi che intende ridimensionare la portata teorica dei sistemi di proporzione inventati dagli artisti, presentando invece un nuovo canone di matrice antropometrica, definito sincero e realistico rispetto a quelli ideali del passato. Questo, che intende definire il “type scientifique”47 tramite una raccolta delle misure più comuni, raccolte su una casistica ripartita secondo le variabili di sesso, età e ambiente, sembra però scadere in una selezione discriminante e artificiale. L’operazione speculativa di Richer si basa principalmente sulla sottrazione: cancellare tutte le forme ambigue che possono intaccare la sua idea di uomo perfetto, teorizzando un mondo in cui i soggetti deboli, deformi, caratterizzati da “signes morbides”48 e da una sessualità ambigua non sono soltanto degli esclusi da studiare e definire, ma vanno, seguendo le sue parole, propriamente cancellati. La morfologia coercitiva del medico, funzionale alla propria pedagogia artistica, si dimostra così come una ricerca tutt’altro che all’insegna del verosimiglianza, basata al contrario su un ideale di uomo bianco, in buona salute, virile, dotato dell’unico corpo perfetto possibile: quello di un atleta.
Seguendo questo principio selettivo, negli anni d’insegnamento Richer tiene uno schedario dei modelli impiegati a lezione: sei album di fotografie di uomini e donne vengono lasciati dal medico al suo successore Henry Meige. Le numerose tavole fotografiche raffigurano i modelli secondo un rituale programmato, che inizia con la posa del “soldat sans arme”,49 di fronte, di profilo e di schiena. A questa seguono una trentina di scatti per modello, con diverse atteggiamenti: braccia alzate con le mani giunte dietro la nuca, in ginocchio con le braccia alzate e le mani unite come in preghiera, varie torsioni del busto, braccia aperte e molte altre alle quali sono spesso affiancate le inquadrature di alcuni dettagli delle mani o dei piedi.
Ogni modello è inoltre catalogato attraverso un’apposita scheda signalétique e de mesurations, sul cui verso è impressa l’impronta della mano e del piede destro del modello, mentre sul retro, accanto ai dati anagrafici basilari, come nome, età e nazionalità, troviamo una lista di trentasei misurazioni. Queste, prese attraverso l’utilizzo di un metro, di un compasso e di una pinza (questi ultimi da appositamente creati da Richer), sono seguite da uno spazio dedicato a generiche “osservazioni particolari” dove Richer appuntava dati importanti per la catalogazione fisica del soggetto preso in esame, come cadute, traumi e patologie. Inoltre vi affianca altre annotazioni ritenute significative, che spaziano da descrizioni più approfondite di alcune parti del corpo sino a ipotetici tratti caratteriali (delicatezza, giocosità, forza d’animo, sincerità…) o comportamenti (crisi di rabbia o d’isteria…). I soggetti maschili scelti sono reclutati perlopiù tra sportivi e atleti professionisti, quelli femminili invece risultano selezionati secondo criteri diversi, spesso per alcune particolarità morfologiche o per la provenienza geografica ed etnica.
Nella rappresentazione fotografica dei due sessi si rileva una differenza: le modelle – probabilmente al fine di mantenere l’anonimato – sono quasi sempre esposte con il volto coperto da una maschera nera, da un panno bianco o riparato dai palmi delle mani. Per Callen la maschera però, non fornisce soltanto una protezione per celare l’identità del soggetto, ma ne enfatizza involontariamente la carica erotica, sottolineando l’innaturalezza del nudo femminile rispetto a quella maschile:
The mask invites, and sanctions, erotic display. In the immediate context, it ‘hides’ the woman’s embarrassment before the intrusive camera/eye. In the broader context, given the ready mass circulation of such images, it creates the illusion of preserving the woman’s identity and hence decency in this unnervingly indexical medium, which was already tainted by cheap pornography and the commercial exploitation of women’s bodies.50
L’eroticizzazione della modella è ben evidente anche nelle pose, diverse rispetto a quelle rigide degli atleti, soprattutto nella terza fascia di fotografie, dove gli atteggiamenti sono evidentemente più liberi e improvvisati. Qui le modelle (la più piccola ha quattordici anni, la più anziana trentasette) vengono messe in mostra in un susseguirsi di pose languide e lascive, funzionali alla rappresentazione dicotomica di un femminile venere-mostro, perpetuato correntemente dall’immaginario simbolista.51
La ricerca teorica e pratica portata avanti da Richer, che secondo i suoi intenti mirerebbe a proporre un tipo ideale non più della bellezza ma della verità, si presenta invece come una selezione scientifica coercitiva, dove la figurazione del corpo femminile e maschile è concepita secondo un preciso immaginario di genere. Attraverso questo particolare approccio alla morfologia, soltanto la figura più sana, più forte, è adatta alla rappresentazione, secondo una logica in cui si combinano studi medici, antropometrici ed estetica scientifica. Quest’ultima non si propone soltanto come una teoria, ma anche come una griglia visuale volta alla pratica artistica, in cui la salute tenta di soppiantare l’ideale del bello, attraverso però una forma di controllo della rappresentazione che finisce per eludere le differenze tra i corpi:
Ce n’est donc pas tant de vouloir donner à l’art un fondement objectif qui caractérise l’approche de Richer (car la maladie n’est pas une réalité moins objective que la santé), que de vouloir refonder la notion d’idéal sur des principes hérités de la biologie et du darwinisme, en faisant notamment du plus fort, du plus sain ou du plus apte à survivre, la nouvelle référence esthétique.52
Allo scadere dell’epoca positivista, osservazione e catalogazione partecipano dunque a creare un’ambigua mitologia medica ed estetica del corpo sano, ritenuto l’unico degno di essere rappresentato. Il caso studio dell’opera di Paul Richer, in cui scienza e arte si incontrano espressamente, consente così di vagliare quanto l’elaborazione di una tassonomia clinica, composta da patologie, differenze di genere, orientamento sessuale e ‘razza’, diventi funzionale alla produzione di un nuovo ideale artistico, che attraverso lo studio della forma avvicina la storia dell’arte antica e le moderne teorie scientifico-antropologiche.
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Id. (1906). Nouvelle Anatomie Artistique du corps humain – Cours pratique et élémentaire. Paris: Plon-Nourrit.
Id. (1920). Nouvelle Anatomie Artistique du corps humain – II Cours supérieur. Morphologie. La Femme. Paris: Plon-Nourrit.
Id. (1921). Nouvelle Anatomie Artistique du corps humain – III Cours supérieur. Physiologie, attitudes et mouvements. Paris: Plon-Nourrit.
Id. (1925). Nouvelle Anatomie Artistique du corps humain – IV Cours supérieur. Le nu dans l’art. Les Arts de l’Orient classique Égypte - Chaldén - Assyrie. Paris: Plon-Nourrit.
Id. (1926). Nouvelle Anatomie Artistique du corps humain – V Cours supérieur. Le nu dans l’art. L’art grec. Paris: Les petits-fils de Plon et Nourrit.
Id. (1929). Nouvelle Anatomie Artistique du corps humain – VI Cours supérieur. Le nu dans l’art. L’art chrétien depuis les origines jusqu’à la Renaissance. Paris: Les petits-fils de Plon et Nourrit.
Ruiz-Gómez R. (2013). “The ‘scientific artworks’ of Doctor Paul Richer”. In Med Humanit, n. 39, pp. 4-10.
Id. (2017). Shaking the Tyranny of the Cadaver: Doctor Paul Richer and the ‘Living Écorché’. In Wils K., de Bont R., Au S. (eds.). Bodies beyond borders. Moving anatomies 1750-1950. Leuven: Leuven Univesity Press, pp. 231-257.
Simon-Dhouailly N. (1986) (dir.). La Leçon de Charcot: voyage dans une toile. Cahors: Imprimerie Tardy Quercy.
Tartarini C. (2017). Il pennello di Cupido. Il dottor Meige e il mal d’amore nella pittura olandese del Seicento. Roma: Carocci.
Charcot J.-B. (1934). “Notice nécrologique”. In Bulletin de l’Académie de Médecine, III série, T. CXL, p. 287.↩
Cfr. Richer (1879). Per questa tesi discussa il 9 aprile del 1879 Richer vinse il prestigioso premio Civrieux dell’Académie de Médecine di Parigi.↩
Da un ritaglio di giornale non identificato appartenuto a H. Bouquet (Dossier biografico di P. Richer, Académie de Médecine, Paris)↩
Nel 1878 Charcot ottenne il permesso di allestire dentro l’ospedale un Musée anatomo-pathologique che raccoglieva numerose riproduzioni di dipinti, cromolitografie e incisioni antiche e moderne sulle quali, durante le lezioni, effettuava numerosi studi diagnostici. Accanto al museo, egli predispose due atelier interdipendenti, quello di moulages e quello di fotografia, diretto inizialmente dal medico Paul Regnard e poi dal fotografo Albert Londe. Sulla fortuna di questi spazi nella medicina francese della seconda metà del XIX secolo si rimanda a Hunter (2008; 2015).↩
Fa eccezione l’allievo e collega Henry Meige (1866-1940), anch’egli formatosi presso la Salpêtrière, che gli succedette come professore di anatomia all’École des Beaux-Arts dal 1922 al 1936. Meige partecipò con entusiasmo alle ricerche medico-artistiche, diventando secrétaire de la rédaction della Nouvelle Iconographie de la Salpêtrière, rivista bimestrale attiva dal 1888 al 1918 (seguito della fortunata Iconographie Photographique de la Salpêtrière pubblicata in tre volumi nel 1876-1877, 1878 e 1879-1880) che concepiva la ricerca scientifica come connaturata alla rappresentazione artistica. Su Meige si rimanda a Tartarini (2017); sulla Nouvelle Iconographie de la Salpêtrière si segnalano i recenti lavori di Grossi (2017; 2018); sull’Iconographie Photographique de la Salpêtrière, naturalmente Didi-Huberman (1982).↩
Richer (1881).↩
Parte dei disegni preparatori per le illustrazioni e le acqueforti di quest’opera sono conservati nelle collezioni dell’École National Supérieure des Beaux-Arts de Paris (ENSBA), del Musée d’Orsay, del Musée de l’Assistance Publique-Hôpitaux de Paris (AP-HP) e presso il Département des Estampes et de la photographie della Bibliothèque Nationale de France (BNF).↩
Richer (1881, p. VII).↩
Ivi, p. VIII.↩
Le numerose testimonianze degli allievi della Salpêtrière ricordano il particolare sguardo di Charcot esercitato nella pratica clinica e pedagogica. Charcot viene descritto come un osservatore attento e preciso, capace di dar vita a descrizioni dal caractère plastique, il cui metodo comparativo ed analogico si radicava sull’osservazione diretta di differenti casi clinici e sulla loro rappresentazione. Quest’ultima, partendo da una mise en scène della malattia, si sviluppava attraverso il disegno e la proiezione di numerose fotografie e riproduzioni di opere d’arte. Per una panoramica sul temperamento artistico di Charcot e sulle pratiche visuali attuate in ospedale si rimanda a: Meige (1925); Simon-Dhouailly (1986); Bouchara (2014).↩
Parte di questo materiale, un tempo raccolto nel Musée Charcot, oggi è accolto in due archivi pubblici: il fondo Charcot del Musée AP-HP e quello della Bibliothèque Charcot dell’UPMC Sorbonne Universités de Paris (BUPMC-Salpêtrière).↩
Si segnalano in questi anni due importanti pubblicazioni scritte a quattro mani con Charcot, Les Démoniaques dans l’Art e Les difformes et les malades dans l’Art. Cfr. Charcot, Richer (1887; 1889).↩
Meige (1898, p. 136).↩
Di quest’opera restano soltanto delle testimonianze fotografiche pubblicate sulla Nouvelle Iconographie de la Salpêtrière.↩
Di quest’opera restano due bozzetti preparatori, uno in gesso e uno in gesso con patinatura pittorica, conservati presso il Musée AP-HP.↩
Di quest’opera restano più copie: un bozzetto preparatorio in gesso nelle collezioni dell’ENSBA, una copia in bronzo presso l’Académie de Médecine di Parigi e un’altra identica presso la BUPMC-Salpêtrière.↩
Di quest’opera restano soltanto testimonianze fotografiche pubblicate sulla Nouvelle Iconographie de la Salpêtrière.↩
Meige (1898, p. 136).↩
Daston, Galison (2010, p. 34).↩
Ruiz-Gómez (2013, p. 5).↩
Ivi, p. 9.↩
Ivi, p. 5.↩
Ivi, p. 9.↩
L’espressione è tratta da un articolo di H. Meige pubblicato nel 1907 sulla Nouvelle Iconographie de la Salpêtrière. Cfr. (Meige, 1907).↩
Comar (2008, p. 53).↩
Ibidem.↩
Uno degli esemplari in gesso della famosa statua dell’écorché di Jean-Antoine Houdon (1741-1828) venne donata dall’artista stesso all’Académie des Beaux-Arts nel 1769.↩
Richer (1903, p. 3).↩
Ibidem.↩
Id. (1903, p. 4).↩
Su questi temi in particolare si rimanda a Ruiz-Gómez (2017).↩
Ivi, p. 12.↩
Ivi, p. 14.↩
Ivi, p. 15.↩
Ibidem.↩
Ivi, p. 20.↩
Ibidem.↩
Ivi, p. 24.↩
Nel 1908 romperà definitivamente con la tradizione, “préférant abandonner les dissections pour se consacrer totalement à ce qu’il nomme la Science du Nu”. Cfr. Debord (1993, p. 109).↩
Richer (1903, p. 27).↩
Ibidem.↩
Ivi, p. 31-32.↩
Ibidem.↩
Ivi, p. 163.↩
Cfr. Richer (1902).↩
Dal 1906 al 1929 Richer si impegnerà nella stesura di una serie di manuali di anatomia umana concepiti esplicitamente per la didattica in accademia. Cfr. Richer (1906; 1920; 1921; 1925; 1926; 1929).↩
Richer (1902, p. 70).↩
Richer (1902, p. 159).↩
Comar (2008, p. 361).↩
Callen (2003, p. 28).↩
Su questi temi si rimanda a Dijkstra (1988).↩
Comar (2008, p. 58).↩